Ogni giorno milioni di utenti si collegano online e socializzano in tempo reale attraverso vari universi virtuali: il Metaverso, come sperimentato e analizzato nel nostro precedente articolo, esiste già come un’experience. Infatti, le piattaforme di multiplayer online gaming sono ormai considerate parte integrante del Metaverso, essendo una fusione tra videogiochi e social network in tempo reale. La R&S e le recenti innovazioni tecnologiche hanno migliorato l’experience offerta dai visori, rendendola ancor più reale ed avvincente.

 

Tuttavia, perché la tecnologia del Metaverso, che collega il mondo reale con il digitale, è vista come la prossima frontiera delle nostre interazioni online? Che cosa la rende così unica rispetto al digital tradizionale?

  • Indice degli argomenti:
  • Engagement  
  • Socialization  
  • Digital Ownership  
  • Immersion  
  • Contextual Intelligence  
  • Dematerialization  

 

Engagement 

L’engagement è sicuramente uno degli aspetti fondamentali del Metaverso. Più un universo virtuale è avvincente, maggiore sarà il tempo che gli utenti vi spenderanno. Prendiamo, per esempio, mondi come Minecraft, Roblox o Fortnite: sono piattaforme nate principalmente con l’obiettivo di intrattenere.

E’ inutile girarci intorno: oggi al centro del concetto di Metaverso troviamo i videogiochi. Si tratta di un’industria che vale circa 200 miliardi di dollari, superando di gran lunga cinema e musica combinati. La diffusione degli smartphone ha permesso ai videogiochi di raggiungere metà della popolazione mondiale. Infatti, i mondi virtuali sono principalmente una sottocategoria di videogiochi, i videogiochi multiplayer online, che connettono persone da tutto il mondo in tempo reale.

Nel 2019, Tim Sweeny, il CEO di Epic Games – il creatore di Fortnite – quando gli è stato chiesto se Fortnite fosse solo un gioco, ha replicato: “Fortnite è un gioco. Ma chiedetemelo di nuovo tra dodici mesi”. Dopo appena un anno, nel 2020, ben 27,7 milioni di individui hanno assistito al concerto virtuale di Travis Scott su Fortnite. Queste piattaforme, infatti, vanno oltre il gaming puro: sono luoghi virtuali all’interno dei quali organizzare qualsiasi tipo di esperienza coinvolgente. Parliamo ad esempio di concerti, opere d’arte immersive, esperienze creative, narrazioni coinvolgenti in 3D. 

 

Socialization

Il secondo fondamento del Metaverso è indubbiamente la socializzazione. Queste piattaforme offrono la capacità di emulare le interazioni sociali quotidiane, come la partecipazione a eventi, esposizioni, concerti e cerimonie, sempre con un focus sull’esperienza collettiva. Questi sono luoghi virtuali dove gli individui non solo giocano, ma si incontrano, comunicano e interagiscono come nel mondo fisico. Guardandolo da questa angolazione, questi universi virtuali sono molto più avvincenti dei tradizionali social media, dove le interazioni avvengono post-pubblicazione e sono più passive (piattaforme come TikTok sono sempre più paragonabili a canali TV piuttosto che a vere e proprie aree di socializzazione). Mark Zuckerberg ha riconosciuto questa tendenza in anticipo: questi mondi virtuali sono un incrocio tra l’entertainment e i social media, segnando la nuova era della socializzazione digitale.

I dati lo confermano. Oggi Roblox ha 67,3 milioni di utenti attivi ogni giorno e circa 214 milioni di utenti attivi al mese, principalmente giovani. Fortnite vanta oltre 250 milioni di utenti attivi mensilmente. Questi due titoli da soli attraggono quasi mezzo miliardo di persone al mese. E i loro utenti non giocano soltanto: circa il 50% della GenZ entra in questi universi virtuali senza l’intenzione di giocare al gioco principale (fonte: Newzooo Mini Survey: Metaverse and VR). E se guardiamo a queste piattaforme come veri e propri “luoghi di incontro”, seppur virtuali, capiamo che si tratta di una tendenza naturale. Nel mondo reale, a ben guardare, succede la stessa cosa. In moti si riuniscono in spazi dedicati all’intrattenimento per socializzare, ma senza necessariamente partecipare all’attività principale: non tutti consumano bevande al bar, non tutti si scatenano in discoteca, non tutti giocano a bowling. Anche se virtuale, nel Metaverso manteniamo le nostre consuete tendenze sociali.

 

Digital Ownership

Mentre le nostre tendenze come individui rimangono costanti, così fanno anche i nostri bisogni: desideriamo differenziarci, esprimere la nostra individualità e trasmettere messaggi che riguardano in qualche modo il nostro status. Man mano che le nuove generazioni trascorrono sempre più tempo in questi universi virtuali, cresce il bisogno di vedere riflessa la loro identità. In questo vasto oceano digitale, ogni persona desidera personalizzare il proprio “io digitale”, ovvero il proprio avatar, per mostrare un aspetto distintivo di sé. Non sorprende, quindi, che le prime industrie a fare il loro ingresso in questi mondi virtuali siano quelle legate al settore della moda e del lusso.

Questi spazi virtuali sono rapidamente evoluti in veri e propri ecosistemi economici virtuali, dove è possibile acquistare prodotti, servizi, spazi e esperienze, e dove, in particolare, si può mettere in mostra i propri progetti digitali – proprio come faremmo nel mondo tangibile. Da ciò deriva un terzo pilastro fondamentale del Metaverso: la proprietà digitale.

Tuttavia, per facilitare queste transazioni di valore all’interno di economie virtuali, è necessario avere tecnologie di pagamento. Esistono sistemi tradizionali, quelli che usiamo abitualmente per le transazioni negli store digitali (come l’App Store sul nostro telefono). Ma ci sono anche nuove tecnologie emergenti, come la blockchain, che mirano a trasformare il funzionamento di queste economie digitali, rendendole decentralizzate. La blockchain consente di decentralizzare la detenzione dei dati senza dover dipendere (e senza pagare tariffe) da giganti come Apple o Google, che attualmente facilitano le transazioni in questi ambienti virtuali. È attraverso la blockchain che abbiamo criptovalute, monete digitali utilizzate per le transazioni; e, soprattutto, gli NFT (Non Fungible Token), che sono certificati digitali unici che attestano autenticità e provenienza e che, se associati a un oggetto nel Metaverso, lo rendono unico e, di conseguenza, commerciabile.

 

Immersione

Il quarto pilastro del Metaverso si identifica con l’Immersione: con l’avvento di tecnologie di realtà virtuale sempre più avanzate, la rappresentazione della realtà appare ora più realistica e efficiente, rendendola maggiormente coinvolgente, in grado di evocare in noi emozioni paragonabili a quelle vissute nel mondo reale. Si tratta di una completa immersione, un autentico effetto placebo per la nostra mente.

Numerose ricerche evidenziano l’efficacia e l’impatto della realtà virtuale sul cervello umano. Uno degli studi più rilevanti è l’Einstein Embodiment, condotto da un gruppo di studiosi presso il dipartimento di Psicologia Clinica e Psicobiologia dell’Università di Barcellona. L’indagine ha coinvolto 30 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Dopo una serie di test cognitivi e sfide risolutive, è risultato che coloro che avevano sperimentato “essere nei panni di Einstein” avevano ottenuto performance significativamente superiori. Ulteriori analisi hanno rivelato una connessione tra l’incremento dell’autostima e il miglioramento cognitivo: in pratica, avevano mostrato segni di maggiore intelligenza!

Le potenzialità della realtà virtuale sono straordinarie, e le sue applicazioni vanno ben oltre il campo delle neuroscienze. Quando entriamo in questi universi digitali tramite un visore VR, possiamo anche interagire fisicamente, muovendoci, correndo e persino sudando, divenendo parte attiva di un vero e proprio allenamento – come si può sperimentare in Tennis League VR, un simulatore di tennis in realtà virtuale creato da AnotheReality e H.I.P.

Contextual Intelligence

Il quinto pilastro del Metaverso ci porta direttamente in un ambito tecnologico molto discusso recentemente: l’Intelligenza (Artificiale). Se infatti questi mondi virtuali sono principalmente popolati da avatar governati da veri essere umani, già oggi al loro interno è facile incappare nei cosiddetti NPC (Non Playing Characters) o AVI (Agenti Virtuali Intelligenti). Questi non sono altro che avatar guidati da forme di Intelligenza Artificiale di varia complessità, con cui è possibile interagire esattamente come si farebbe con un chatbot. Lo stesso Stephenson, nell’ideare il suo Metaverso, immaginava di popolarlo con “demoni”, assistenti virtuali incredibilmente avanzati, simili a quel ChatGPT con cui molti hanno ormai familiarizzato.

Grazie però al potere della realtà aumentata, di contestualizzare in tempo reale le informazioni sul mondo fisico, l’Intelligenza Artificiale si unisce alla Contestualizzazione per aprire scenari nuovi e dirompenti. Ad esempio questi “esseri artificiali” si diffonderanno nel mondo reale, magari trasformando i nostri amici animali in entità artificiali, come proposto da progetti come Peridot (creato da Niantic, la medesima azienda dietro Pokemon Go). Animali domestici virtuali… non suona forse come un’evoluzione del caro vecchio Tamagotchi? E ancora pensiamo alla possibilità di aggiungere “sottotitoli” al mondo reale, dando la possibilità anche ai non udenti di sapere esattamente quello che le persone intorno a loro stanno dicendo. Oppure al mondo dei gemelli digitali: potremo guardare un qualsiasi oggetti nel mondo fisico e avere informazioni contestuali sul suo funzionamento, e soprattutto potremo sapere – grazie all’utilizzo delle simulazioni – quando quel prodotto si guasterà, potendo quindi intervenire tempestivamente con le attività di manutenzione richieste prima che un problema si manifesti concretamente.

 

Dematerialization

Se molti articoli assumeranno una nuova intelligenza, molti altri… diverranno invisibili. Il sesto pilastro del Metaverso è strettamente collegato alla dematerializzazione. Attraverso le avanzate tecnologie di simulazione, i mondi 3D e, in particolare, le XR (eXtended Realities), possiamo già dematerializzare quasi ogni oggetto, ambiente o persino individuo. Sebbene questa peculiarità sia chiaramente visibile nella realtà virtuale, ne percepiremo il vero potenziale con la realtà aumentata o mista, strumenti che ci consentono di “potenziare” la realtà con dettagli contestuali e interattivi in tempo reale. Parliamo quindi di autentici ologrammi, rappresentazioni tridimensionali altamente realistiche che interagiscono con lo spazio fisico, fondendosi con esso.

Nella nota e-mail del 22 giugno 2015 inviata ai suoi azionisti, Zuckerberg sostiene: quando avremo un buon sistema di AR/VR, non avremo più bisogno di comprare telefoni, televisioni, o molti altri oggetti fisici – diventeranno semplicemente applicazioni in uno store digitale. Con l’evoluzione del Metaverso, e in particolare con l’espansione della realtà aumentata, molti oggetti che ora consideriamo tangibili verranno dematerializzati, trasformandosi in ologrammi manipolabili e replicabili nello spazio. Prenderanno la forma di software, proprio come accaduto ai DVD, CD, documenti e libri, divenuti ora, per la maggior parte, semplici files digitali. Con il Metaverso, gran parte del nostro ambiente potrebbe rapidamente trasformarsi in un’app, e le conseguenze di questa dematerializzazione sulla nostra esistenza quotidiana saranno inizialmente rivoluzionarie e, poco dopo, quasi indispensabili.