Dopo anni di esperimenti più o meno riusciti, oggi le soluzioni che fanno leva sui mondi virtuali dello spatial computing si stanno diffondendo nel mondo business. In ambito produttivo, con applicazioni pensate per migliorare la produttività, sfruttando, per esempio, la simulazione per ridurre l’utilizzo di prototipi fisici, spesso costosi da creare, soprattutto quando si parla di ambienti di grandi dimensioni. Ma anche per avvicinare le persone senza costringerle a viaggiare, per esempio con showroom virtuali identiche alle loro controparti reali.

 

BIM, un bell’esempio di integrazione fisico digitale

L’industria edile ha già adottato i BIM, Building Information Modelling, soluzioni che permettono di rappresentare in maniera digitale le caratteristiche fisiche e funzionali di strutture fisiche. In particolare, tramite BIM, i dati rilevanti di una costruzione possono essere raccolti, combinati e collegati digitalmente, rappresentati in 3D. Palazzi, naturalmente, ma anche fabbriche, navi, tunnel, porti, come nel caso di quello di Genova.

Il concetto di BIM non è nuovo. Nasce negli anni ’70, ma è solo dopo il 2000 che sono stati sviluppati degli standard. Più recentemente, i BIM hanno iniziato a integrare anche tecnologie di realtà virtuale, che viene utilizzata in varie fasi del processo di design stravolgendo, in meglio, i processi. L’adozione della realtà virtuale ha permesso di migliorare i workflow, ridurre i costi e velocizzare il processo di design ingegneristico. Con la realtà un ingegnere può visitare un sito prima ancora che sia posata la prima pietra. Analizzando le varie fasi del processo produttivo, anticipando le criticità che si dovranno fronteggiare durante la costruzione. Un visore per la realtà virtuale ci può insomma portare in un mondo alternativo, virtuale.

Questi mondi virtuali si dividono in più categorie a seconda delle loro caratteristiche: possono essere infatti definiti metaversi, multiversi o mirrorworld, mondi specchio. 

 

Quali sono le differenze tra i diversi mondi virtuali?

 

Spatial computing è un ambito nuovo, in divenire, con cui ci confronteremo come consumer e come aziende. Di conseguenza, dovremo imparare anche nuove parole.

 

Quando si parla di mondi virtuali è importante comprendere la terminologia utilizzata. Non tutti gli ambienti in cui ci si immerge indossando un visore per la VR hanno le stesse caratteristiche. Inoltre, a seconda dalle loro specificità, possono distinguersi in tre macro categorie: metaversi, mirror world, multiversi.

Mentre se si parla di realtà aumentata bisogna considerare che il mondo “reale” che circonda l’utente è parte integrante della simulazione. Spesso non è neppure chiara la differenza tra VR e 3D a 360°, di cui abbiamo parlato. 

Per fare chiarezza sulle parole dello spatial computing, metaverso, mirrorworld, multiverso, abbiamo scritto tre articoli ad hoc. Qui invece due articoli interessanti, uno di TechCrunch e uno apparso su Forbes, che fanno un affresco del mondo “spaziale” – seppur non extraterrestre – che ci aspetta.

In 10 anni, l’interazione uomo-computer cambierà moltissimo. Dalle app 2D vincolate ad uno schermo – desktop, tablet o mobile – a un’era in cui la realtà mista (a cui accederemo da dispositivi leggeri) mescolerà mondi virtuali e fisici.

Non siamo ancora tecnologicamente o culturalmente del tutto pronti per quel futuro. Ma quel futuro è dietro l’angolo. Vivremo una transizione incentrata sulla fusione di giochi, social media e ancora applicazioni di business.

Questo ci porterà a un nuovo modello dove i mondi virtuali saranno direttamente collegati con la realtà fisica. Non più isolati o affiancati ad essa. E, allora, metaversi, mirrorworld e multiversi diventeranno dimensioni naturali.

 


Immagine di copertina: © Facebook Horizon